Non persero tempo i 7 Fratelli. Mentre i partiti politici stavano ancora a discutere, loro iniziarono subito ad agire. Disarmavano caserme di carabinieri e GNR e compivano sabotaggi. Avevano già compreso (nella perfezione del 7- in Oriente il numero di Yin e Yang, il numero della Vita) che la Resistenza avrebbe dovuto essere un Movimento e non una sommatoria di partiti (quelli che poi ci hanno fregato ). Sapevano che c'era la Morte. Me li immagino i 7 in una delle loro ennesime assemblee esaminare questa possibilità. I Cervi vivevano in una sorta di assemblea permanente, per ogni problema si consultavano tutti. Avranno riso della Morte e dei fascisti. Erano contadini-guerrieri e, come i bushi orientali, non temevano nulla. Eppure c'era una cosa che li preoccupava. In tutta la loro storia aleggia costantemente una sola pena. Lo si evince dalle mille attenzioni, dalle premure, dal tatto, dal garbo, dalla grazia con cui tutti si rapportano alla Madre. I Cervi erano preoccupati per il dolore che Genoeffa Cocconi avrebbe potuto provare. Sono accomunati in ciò alla maggior parte delle Lettere dei Condannati a morte della Resistenza. Tutti questi ragazzi non temono di morire, ma una cosa li affligge : il dolore della Madre. C'è un sacro originario, indipendente e precedente le Religioni, nel senso originario dell'etimo (sacer = che non si può toccare, a cui non si deve arrivare, TABÙ ) e questo è il dolore della Madre. Il dolore di Mamma Cervi è la Pietà di Michelangelo o il Compianto di Niccolò amplificato × 7. Impossibile indicibile inaudito. Qui sopratutto si misura la vanità del tentativo dei servi di considerare i morti di allora tutti uguali. Per quanto si cerchi non si troverà nulla di tutto questo nei morituri fascisti.
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